VALTELLINA

Cielo ed erte montagne,
dove di amara gioventù splendetti
in quei giorni lontani in Valtellina,
quando presenze nei tronchi cercavo
dei tuoi boschi eretti,
e Oreadi e Amadriadi la mano
a danze mi tendeano invitanti,
sotto i castagni intenta ad evitare
o a cercare quell'irto calpestio
- tutte quante riusciva a fugare
un satiro barbuto
dai risonanti zoccoli caprini -,
or alte ed incombenti,
di selve ombrose e di declivi avare,
ma invitanti per me che vi conosco,
ben vi ritrovo e il passo
piccola ed arrancante mi rivedo
di pareggiar con l'adulto a cercare
e i mali della vita ad affrontare.
Ed oh!, quante castagne
sotto la danza del piccolo piede
sgusciavano da quei ricci ridenti,
a riempir la cavagna[i] della nonna
che a riposare siede,
unica sua ricchezza quella selva,
tredici volte costretta a esser madre,
non fece a lei l'amor altro che torto.
La religione unica cultura,
sua punizione ed unico conforto,
come il riccio che in testa
a volte ti cadeva e ti feriva,
ma almeno una castagna
poi ti donava per consolazione.
C'era silenzio allora tutt'intorno,
non rumor di motori.
Nella tasca, preziosa dotazione,
a scuola ti portavi i brasché[ii],
ma nessun rispondeva ai tuoi "perché?".
Tirano indifferente
nessuna casa era la mia casa,
non c'era un padre che fosse mio padre, 
men raccolta ma più bella ti trovo,
di ricchezza pervasa.
Hai disteso le ali lungo il fiume,
fosco l'Adda brontolava ai miei tempi
agli scolari che ritardatari
sul ponte a guardar giù,
la maestra, impaziente, aspettava.
E dalla fredda casa
uscivo a immerger nella neve il passo
per raggiunger in treno il capoluogo
e i compagni di scuola.
Sul treno si faceva un po' il ripasso,
gli impulsi della vita ognor frenati,
vani per sempre i nostri sogni alati.
Oddio, una mia maestra[iii]
è ancora viva e mi riconosce,
il mio nome pronuncia ed il cognome.
La sua severità m'intimoriva,
sopra sue guance flosce
vivi ancora lo sguardo e più la mente.
Ora lei chiede riconoscimenti
che io con commozione ben le accordo
(la riga che pestava sulle dita,
questo non le ricordo).
La strada per Trivigno,
dove fiorito era il primo amore
- c'eran fragole e more,
ai margini odoravan ciclamini,
aspro delle nocciole il tegumento,
ma era dolce il seme -
si saliva con quegli scarponcini,
un po' piagati dentro i calzettoni
i piedi, spesso afflitti da geloni.
E in chiesa a mendicare
quella grazia che ottener mai riesco,
le suore ti svegliavano in collegio,
e mio padre pagava allor persino
lezioni di tedesco,
questo forse credeva che bastasse
a far di me una figlia regolare.
Mi facevan recitare le suore
ruoli felici di educande liete,
dovevo mascherare il mio dolore.
Nessuna alternativa
zii iracondi all'assenza paterna 
non concedevan mai,
ma si doveva pur tirare avanti,
solo talvolta beffarde attenzioni.
Tu dovevi esser forte,
non potevi esser trattata con i guanti,
senza padre né casa. Ma radici
ho in questa valle, dove ancora amici
incontrando saluto,
stupiti del mio viso sconosciuto,
che il tempo e la città hanno segnato,
eppure non mi han dimenticato,
e il nome ripetuto
magari baci provoca ed abbracci.
I grandi or non ci fanno più paura,
or siamo noi i grandi, e c'è chi parla
persino di bei tempi, forse avuti.
L'amica, io non posso contrariarla,
ho un sorriso d'assenso.
Diverse le versioni di uno stesso
ricordo ormai lontano,
ma il fiume scorre e il sole splende ancora,
son ritornata a casa. Valtellina,
terra mi fu d'esilio,
ne faccio invece parte e più m'accora
il non aver capito il grande affetto,
e che conti comprenderne il dialetto.

Lorenza Franco

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[i] Cesta di vimini
[ii] caldarroste
[iii] Rina Ceppi, ma la più cara fu Angela Vido

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