PERGAMO (archeologia)

Un dì lontano giunse
in paese straniero
un certo Filetero
e l’ambizion lo punse.
Resosi indipendente,
si servì del tesoro
-una montagna d’oro!-
in modo intelligente.
Degni di lui gli eredi,
guerrieri e mecenati,
sconfissero i Galati,
ebber sfarzose sedi.
La civiltà di Atene
per loro fu modello,
amante sol del bello,
nel modo che conviene.
Rispetto del paesaggio
fu loro prima cura,
la saggia architettura
non fé, a Natura, oltraggio.
S’alzan colonne al cielo,
grandioso stile è il dorico,
non è da men lo ionico,
anche se meno austero.
Dall’alto Nike Atena
ammira il grande Altare.
Col padre suo a lottare,
la barbarie incatena.
Se Auge innamorata
mise al mondo un bambino
dal glorioso destino,
perché mai fu scacciata?
Telefo abbandonato
la madre ritrovava.
una città fondava
dal padre suo approvato.
IL GRANDE ALTARE
Fregio Est
Ecate con la face,
con scudo, lancia e cane,
affronta il mostro immane
e Clizio a terra giace.
Artemide implacabile
contro il gigante nudo,
armato d’elmo e scudo,
dimostra quanto è labile
la ribellion del barbaro
che chiedeva il tributo,
di certo non dovuto,
e lo spedisce al Tartaro.
Anguipodo e bestiale
chi aggredì Latona,
or sa che non perdona
il gesto suo fatale.
Efialte giace ai piedi
di Apollo guaritore,
dai mali protettore,
che trionfar tu vedi.
Apollo guaritore
che vede nel futuro,
con Marsia fu ben duro
e ciò non gli fa onore.
Quattro cavalli alati,
veloci come i Venti,
trasportano possenti
Era che li ha spronati.
Garante di Vittoria
indica un’iscrizione,
con zampa di leone,
chi faticò con gloria.
Le nuvole raccoglie
il padre degli dei.
Fulmini contro i rei,
Porfirio ha grandi doglie.
Con Alcioneo soccombe
il Galata morente.
La madre Gea è impotente
contro Atena che incombe.
Quel dio poco stimato
che presiede alla guerra,
or le redini afferra
d’un cavallo impennato.
Fregio Sud
Cibele nella mischia,
in groppa ad un leone,
non ha esitazione:
l’aquila, dietro, fischia.
Che dio sarà mai questo
che infilzò un gigante?
Le ipotesi son tante,
ma forse è proprio Efesto.
Aurora, pur gentile,
una fiaccola scaglia
che il bersaglio non sbaglia.
Contro un nemico vile,
travolto dalle ruote,
s’avventa il dio del Sole
che trionfare vuole
e le redini scuote.
Eros, Elio e Selene,
aurora, sole e luna,
la madre Tea raduna,
nella lotta interviene.
Chi mai volge le spalle
a me che guardo attenta?
D’un mulo s’accontenta
chi illuminò la valle?
Un gesto è poco etereo
strangolar un gigante,
come serpe strisciante
dal destino funereo.
Tutto controlla Urano
che vuole far Giustizia.
Febe, che gran notizia!,
prende Asteria per mano.
Risalita Nord-Ovest
 
Il dio del mar Tritone,
un poco scombinato,
da mamma accompagnato,
per babbo Posidone
nella lotta riesce,
con zoccoli per mani
e altri arti strani,
pur se puzza di pesce.
Or Doride e Nereo
si diano un po’ì da fare
la figlia a ricercare,
che fuggì con Peleo.
Risalita Sud-Ovest
Dioniso senza sirma
-faceva così caldo?-
un dio è un po’ ribaldo.
Teorreto si firma.
Combattono ubriachi
i satiri e il leone?
Che bella processione!
Sémele fa il sirtaki.
Fregio Nord
 
Ricupera Afrodite
un’arma non d’amore
dal gigante che muore,
non quello che ha più vite.
Eros con la sua nonna
non lo soccorre certo,
lavora di concerto
con l’altra gentildonna.
Che c’entra Polinice
con Castore e Polluce?
Al morso si riduce
chi divino si dice?
Invece di mitraglie,
si sradicavan piante.
Nel petto del gigante
trafiggon le frattaglie.
Ma l’altro ha la corazza,
bella complicazione!
Con un’altra invenzione
comunque lo si ammazza.
Le Erinni sono queste
che le coscienze appestano,
e la vita funestano?
Ne sa qualcosa Oreste!
Arbitre del destino,
lui che per gambe ha spire,
le Moire fan morire
e anche il suo vicino.
Non può esser ben disposta
chi fa dei figli orrendi,
ai suoi colpi tremendi
non mi vorrei esposta.
Che grande confusione!
S’alzano enormi flutti;
a sistemare tutti
arriva Posidone.
DONARIO
Il Galata suicida,
che ha trafitto la moglie,
le risparmia altre doglie,
dell’onor non la priva.
Vestito era il Persiano,
non combatteva nudo.
Caduto sul suo scudo,
anche a lui c’inchiniamo.
Il Galata morente
simbolo di vittoria,
non muore senza gloria:
il nemico è ossequiente.
L’Amazzone che giace,
bella pur nella morte,
sa che fu anche più forte
d’un bronzo di Riace.
Verrà l’Irrazionale
a spegner la Pietà
e Dio si crederà
il Potere Imperiale.
Soffrire sarà bene
per chi ha un dio minore,
si umilii nel dolore
il nemico in catene.
Ma i tramontati Numi,
che eran pur umani,
un lontano domani
diventeranno “I Lumi”.
Conclusione
Quest’arte pergamena
è poesia immortale
e già distende l’ale
la Vittoria suprema.
La Colonna Traiana
ne trarrà insegnamenti,
di Ghiberti i battenti
saran gloria italiana.
Ormai la ritrattistica
non sarà più simbolica,
strategica o bucolica,
bensì naturalistica.
Pure se cieco Omero
non tiene gli occhi chiusi
come in antichi usi.
Il suo ritratto è vero.
Le rughe sulla fronte
danno espressione intensa:
è Antioco che pensa,
d’idee son le impronte.
La nudità è potente
del grande Posidone,
con grande convinzione
brandisce il suo tridente.
L’arte antica è espressione
di civiltà più umana
che ancor oggi promana
equilibrio e ragione.
Milano, 23 maggio 1995   Lorenza Franco