Andromaca

Nella tua realtà grigia e malata
tutto vuoi dare a tutti, e non dai niente.
Non vede il cieco, e il sordo non ci sente,
bussa sul muro e non trova l’entrata.
 
Il fiume deve andare verso il mare,
ognuno ha il suo percorso già tracciato,
e non lo ferma un argine crollato,
a nuoto o in barca bisogna arrivare,
 
poco badando a lamenti e sospiri,
per rimediarvi andando ancor più in fretta,
dando ciò che non serve e neanche alletta,
collane di smeraldi e di zaffiri.
 
Da Ettore a Neottolemo ad Eleno,
d’Andromaca il destino è sempre triste,
ma il percorso biologico resiste,
d’esister non si può più fare a meno.
 
Maternità violente e minacciose[1],
non surroganti i figli dell’amore[2],
grida di bimbi e dell’armi il fragore,
umilieran già innamorate spose.
 
Abbracciata ad un tronco ancor per poco,
la dovrà trascinare la corrente,
chiama Astianatte ognor più flebilmente,
d’Ilio s’è spento il divorante fuoco.
 
Ma è necessario credersi felici,
mostrare a tutti un viso sorridente.
E’, rassegnarsi, giusto e intelligente?
Tu non ci credi, anche se lo dici.
 
30 ottobre 2000    Lorenza Franco
 



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[1] Da Neottolemo

[2] Astianatte figlio di Ettore